Il nostro gaio mestiere di giornalisti è quello di mentire… senza, naturalmente, che il buon pubblico se ne accorga. Il pubblico deve credere d’essere scrupolosamente informato sopra un avvenimento qualsiasi; ma poiché esso sarebbe poi deluso, scontento, imbronciato se un dato avvenimento non gli garbasse, così è necessario ch’esso creda d’imparare la nuda verità.
Eugenia Codronchi, che firmava le sue opere con lo pseudonimo Sfinge, è stata molto famosa in vita ma è oggi quasi dimenticata. Eugenia apparteneva a una famiglia imolese nobile, ricca e colta – suo padre era un uomo politico che è stato anche senatore – che le ha permesso di viaggiare e farsi una vasta cultura, ha avuto inoltre modo di conoscere e frequentare gli intellettuali più noti della sua epoca e intrattenere con essi costanti rapporti epistolari. Autrice prolifica, ha scritto, oltre ad alcuni saggi e un testo teatrale, sei romanzi e sette raccolte di racconti che affrontavano spesso temi insoliti e contenevano, per i tempi in cui erano scritti, idee avanzate. Soprattutto nei racconti utilizza una pungente ironia per prendersi gioco di falsi moralismi e luoghi comuni. Anticonformista nella scrittura lo è stata anche nello stile di vita: bella donna molto corteggiata ha rifiutato di sposarsi e per tutta la vita ha convissuto con una compagna di elezione, la scrittrice Bianca Belinzaghi che, con lo pseudonimo di Guido di San Giuliano, ha scritto testi di psicologia infantile e fiabe. Il ricco materiale – lettere, libri, fotografie, oggetti – che entrambe hanno raccolto negli anni fanno ora parte del Fondo Codronchi della Biblioteca Comunale di Imola grazie ai lasciti di Eugenia del 1934 e di Bianca del 1943 (quest’ultimo comprende anche un fondo musicale).